Urla e fischi. Insulti e risate. Riunioni fino all’alba e ricatti. Le lacrime di Bertinotti e la commozione dei delegati. Il congresso di Rifondazione è stato una tragedia greca. Riuniti e smarriti alle terme di Chianciano i compagni del Prc provano a voltar pagina. L’ex comandante Fausto ne esce schiacciato sotto il peso di una sconfitta elettorale sensazionale. Con lui Franco Giordano, il segretario traghettatore e Nichi Vendola, il pupillo designato per la successione. La quattro giorni di passione si chiude con i vincitori che intonano Bandiera rossa a pugno chiuso. C’è da piangere, che si pianga pure.
L’esito del congresso è presto detto. Si è andati alla conta e i bertinottiani di Vendola hanno perso. Il cattolico, comunista e omosessuale Nichi non entra nel direttivo e si tiene le mani libere. Ha vinto Paolo Ferrero – valdese mite, ex operaio Fiat cresciuto a pane e politica in Democrazia proletaria – che si è garantito l’appoggio delle altre mozioni congressuali. In Val Germanasca, dove è nato e cresciuto, la gente è di poche parole. “Io me lo ricordo: era un bambino vivace, un ragazzo serio”, mi rispose qualche mese fa un anziano a cui chiedevo dell’allora ministro. Al vecchio seduto al tavolino del bar brillavano gli occhi: “Paolo ha sempre avuto la schiena diritta. Quando faceva l’operaio studiava di notte”.
Ferrero è stato anche segretario della Federazione giovanile evangelica italiana: “Fa parte della mia antropologia culturale. Mi ha segnato in maniera significativa nell’idea della responsabilità, della democrazia, della giustizia sociale. Poi, certo, ho incontrato il marxismo”. Il marxismo, la fabbrica, i 35 giorni ai cancelli di Mirafiori e la marcia dei 40mila quadri. Ferrero c’era, lì conobbe Bertinotti. Poi venne il sindacato, il partito, il Parlamento e il governo Prodi. Oggi Ferrero conquista la leadership di Rifondazione con un documento politico che accenna a “convergenze con forze comuniste, anticapitaliste e di sinistra”. Nessuna alleanza con il Pd, nessun superamento del Prc e addio alla proposta della Costituente di sinistra. Insomma, l’unica apertura possibile è quella a Diliberto e compagni.
Vendola suda e impreca. Denuncia atteggiamenti di “plebeismo culturale” e invita “i compagni del nord ad andare nel sud per vedere come si combatte la mafia sul territorio, facendo nomi e cognomi dei mafiosi”. Il governatre della Puglia è stato fregato da un congresso nel più classico stile democristiano, con gli emissari delle mozioni impegnati a contattare i delegati uno ad uno. Nichi lo sa e quando sale sul palco per annunciare la propria sconfitta carica a testa bassa: “La nuova maggioranza esiste solo per alchimie che non hanno respiro né prospettiva, è un guazzabuglio di culture minoritarie”. Lamenta le “volgarità” e il “dileggio oltre il limite della decenza”. Poi si ammorbidisce e annuncia la nascita di una corrente di minoranza all’interno del partito, l’incubo della scissione (che, va detto, sarebbe stata una scissione dell’atomo) è scongiurato. “Io sono sconfitto e sono sereno, perchè da comunista ho imparato prevalentemente a essere sconfitto”.
L’impressione è che Rifondazione questa volta abbia scelto di morire per davvero. E’ passata la linea identitaria, di autarchia politica. Il nemico numero uno non è più il governo ma il Pd. Da oggi la battaglia si farà sull’egemonia a sinistra: nessuna vocazione maggioritaria, daltronde fare l’opposizione – come direbbe qualcun’altro – ci riesce benissimo. E fa niente se il malcontento va a destra, se le tute blu con la tessera Fiom votano Lega. Con Ferrero ha vinto l’ala massimalista, quella del partito di lotta e di piazza, senza se e senza ma. Probabilmente l’ennesima scissione a sinistra è solo rimadata. Per ora Vendola non si sfila. Il presidente di una regione che fa l’opposizione interna di un movimento extraparlamentare. Geniale e fottuto. Roba da brividi, roba da poeti. Se Nichi si stufasse c’è sempre il Pd alla ricerca di un leader. Lui va pure d’accordo con D’Alema.